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Valerio Lalli -

Non puoi essere antifragile se prima non sei fragile

Leadership, Mindset Revolution

In che modo reagiamo quando siamo davanti a situazioni di stress?” È una domanda che dovremo porci perché ci può aiutare ad affrontare gli eventi della vita con la giusta lucidità.

Siamo esseri umani e in quanto tali è inevitabile scoprirsi a volte fragili. Tuttavia, è proprio da questa caratteristica il punto da cui bisogna partire.

Per abitudine, davanti alle avversità facciamo spesso riferimento al concetto di resilienza come quell’attitudine psicologica di superare un trauma senza farsi travolgere emotivamente. Il filosofo Nicolas Nassim Taleb (autore del saggio “Il cigno nero”) ha però identificato un’altra variabile per affrontare eventi traumatici: il concetto di antifragilità.

Facciamo un esempio pratico: una gara di Formula 1. Da un momento all’altro inizia a piovere, quindi le condizioni di gara si complicano in maniera significativa. Davanti a questo imprevisto, possiamo avere tre tipologie di reazione da parte dei piloti: quelli che peggiorano, quelli che in qualche modo cercano di affrontare l’ostacolo e quelli che nonostante la condizione di stress, migliorano.

Essere antifragile come spiega Taleb nel suo libro dal titolo “Antifragile”, significa reagire positivamente migliorandosi a fronte di sollecitazioni e fattori di stress, traendone vantaggio.

Quello dell’antifragilità, è stato un tema emerso durante una morning breakfast insieme alla coach Gaia Corazza e alla Community degli Human Digital Master, con un intervento di Grazia De Nitto (Head – Core Network Engineering di TIM e membro della Community).

Dopo questa premessa e una telefonata con Grazia durante la quale abbiamo parlato di un episodio di vita che per certi versi ci accomuna, abbiamo deciso di ricavarne un’intervista.

Q. Ciao Grazia, grazie per la tua disponibilità e per aver accettato l’intervista. Ti presenti con un tweet?

Sono una donna del sud, ma ora vivo a Torino dove mi sono laureata in Ingegneria, ho incontrato il padre dei miei tre figli. Lavoro in TIM come Responsabile di ingegneria di rete e metto passione in tutto ciò che faccio. Da casa mia vedo il Po e il Monviso. Il mio motto è “Non vivrò mai senza il mare”.

Q. L’idea di fare quest’intervista mi è venuta in mente non appena ho ascoltato un tuo episodio di vita che hai raccontato durante la Morning Breakfast insieme a Gaia Corazza e al resto della Community degli Human Digital Master, a cui dopo è seguita una nostra telefonata durante la quale abbiamo scoperto di avere un piccolo pezzo di storia in comune. Ci puoi dire di più?

Si il tema della Morning Breakfast era la cura (di se stessi, degli altri e del bene comune) e non ho potuto fare a meno di condividere con la Community la mia esperienza personale. Mia figlia Anna è diventata tetraplegica a causa di un gravissimo incidente stradale quando aveva solo tre anni e da allora, oltre a essere sua madre, sono anche una delle sue caregiver. In questi anni di cura mi sono confrontata con il significato profondo di questa parola e continuo ogni giorno il mio percorso. La cura è innanzitutto accoglienza e accettazione, la cura implica un ascolto profondo di se stessi e dell’altro. La vita mi ha messo di fronte una grande sfida perché è stato come se un carro armato fosse passato su di me e la mia famiglia e avesse ridotto tutto quello che avevamo in tanti pezzi. Ho passato i primissimi anni a cercare di “recuperare” ciò che era andato perso, ad avvicinarmi il più possibile al “prima” a ridurre al minimo le conseguenze dell’accaduto, a cercare di vivere il più possibile nella normalità e poi ho capito che questa era un obiettivo riduttivo e inadeguato oltre che definitivamente non possibile. Ho compreso che non dovevo tentare di ricostruire la mia vita, dovevo trasformarla, trasformando me stessa e il mio sguardo sul mondo.

Q. “Non puoi essere antifragile se non sei prima fragile” è stata la tua citazione che mi ha colpito, tanto da dare il titolo a questa nostra intervista. Secondo te, è possibile parlare di antifragilità anche per le organizzazioni?

Il senso della mia frase è che in un processo di trasformazione deve esserci un momento di crisi in cui bisogna lasciare andare qualcosa, guardare ciò che ci circonda in modo diverso. Ecco perché sono convita che dobbiamo mettere in discussione le nostre credenze, rinunciare all’integrità e alla perfezione, esporci a un rischio, accettare di perdere il controllo, cercare terreni inesplorati, accettare la propria vulnerabilità e quindi attraversare la fragilità.  L’attitudine all’apprendimento e alla sperimentazione, sono assolutamente umane e molto sviluppate nei bambini. Crescendo poi cerchiamo sempre situazioni certe e sicure. In base alla mia esperienza il rifiuto della fragilità, l’attaccamento a ciò che è noto e conosciuto, il bisogno di stare nella confort zone inibisce la possibilità di crescita. Se parliamo di mindset, secondo me un’organizzazione è anti-fragile non solo quando reagisce positivamente a una condizione avversa, ma anche quando autonomamente e deliberatamente cerca di portarsi fuori dalla comfort zone, optando per la growth zone.

Q. È possibile mettere in campo questa competenza all’interno di un team di lavoro? Tu come ci riesci?

Io ci provo ogni giorno, ma ho ancora molto da imparare. Ho sempre vissuto il mio ruolo con un grande senso di responsabilità ma per tanto tempo sono stata bloccata dalla paura, paura di sbagliare, paura di alterare equilibri o di demotivare le persone. Poi a un certo punto ho smesso di censurarmi e ho deciso di proporre cambiamenti sempre nell’ottica dei piccoli passi, facendo piccoli esperimenti e osservando la risposta. Per prima cosa ho imparato quanto sia importante riporre fiducia nel team condividendo l’obiettivo da raggiungere (o il problema da risolvere, o l’ottimizzazione da realizzare) perché, se l’obiettivo che ci siamo prefissati non è di valore per tutti a quel punto non ha senso nemmeno intraprendere il viaggio. Ho imparato quanto sia importante la trasparenza, per cui ho cominciato a proporre cambiamenti dichiarando la mia voglia di esplorare e conoscere cose non ancora note e la mia proattività ad aggiustare il tiro, casomai mi fossi resa conto che il percorso intrapreso fosse stato sbagliato. Così facendo ho sempre ottenuto risposte positive dalle persone anche al di là delle mie aspettative.

Q. Essere caregiver. Come traduci questa competenza per un manager d’azienda?

Come ho scritto in precedenza le competenze fondamentali di un care giver sono l’accoglienza, l’attenzione e l’ascolto che si traducono poi nella capacità di mettere le persone e i loro bisogni al centro. Un manager ha bisogno di sviluppare queste attitudini per prendersi cura del suo team e creare un  contesto inclusivo, di fiducia nel quale le persone possano crescere . Più di una volta nella mia esperienza mi sono trovata a fare delle analogie con la funzione genitoriale che è una funzione di supporto e di sostegno (diamo la mano a un bimbo che fa i suoi primi passi e lo proteggiamo per evitare che si faccia male e lo consoliamo quando cade) ma anche di stimolo e di sfida (mettiamo il giocattolo preferito a pochi passi di distanza invitandolo a percorrerla e incoraggiandolo a lanciarsi) creando le condizioni perché lui possa essere autonomo e si possa esprimere liberamente. Manager e genitori ecco che hanno un denominatore comune: la cura e l’ascolto dell’altro.

Q. Intelligenza emotiva e leadership. Qual è il rapporto che secondo te esiste tra queste due variabili?

All’università prima e per molto tempo della mia vita professionale dopo, ero assolutamente focalizzata sull’eccellenza dei risultati e credevo che quest’ultima fosse la vera espressione della leadership. Il leader per me era “quello bravo”.

Poi ho compreso che la leadership riguarda in senso stretto il chi siamo come persone, i nostri valori, quanto siamo in contatto con noi stessi, come ci relazioniamo con gli altri e quanto siamo capaci di costruire relazioni generative.

Un leader per me è quella persona molto consapevole delle sue vulnerabilità, dei suoi limiti, dei suoi condizionamenti, delle sue paure, delle sue emozioni e, grazie a questa consapevolezza, il suo agire è libero… Oserei dire creativo.

Q. Un’ultima domanda: quale consiglio antifragile daresti alla nostra Community? Il primo consiglio anti-fragile che mi sento di dare è quello di liberarsi dalle prigioni del passato (Abbiamo sempre fatto così) o del futuro in termini di aspettative verso noi stessi (Io dovrei essere così, le cose dovrebbero andare così) per stare nel presente vivendo l’apertura necessaria a cogliere in se stessi e negli altri la possibilità di esprimere il proprio vero potenziale umano.

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