“La storia della vita sulla Terra, lo sappiamo, è la storia dell’adattamento all’ambiente. Attraverso una serie di mutazioni e di selezioni, le specie vegetali e animali si sono continuamente adattate all’ambiente in trasformazione, trovando ogni volta le soluzioni giuste per sopravvivere nei climi più diversi. Chi non s’adattava si estingueva”
(Piero Angela)
Un virus sconosciuto si è insediato tra le nostre vite. Continua ancora ad avvolgersi tra le fila dei nostri giorni scomposti. Reinventati. Riadattati. Abbiamo dovuto ripensare a noi. Nuovi modi in nuovi spazi, in un tempo dilatato e incerto. Ci siamo confrontati con il nuovo, con l’ignoto e i nostri punti fermi sono stati di colpo sgretolati trasformandosi da esclamativi a interrogativi. Ma è tra le crepe in cui siamo stati gettati che abbiamo trasformato i nostri passi incerti per adattarci al nuovo, per convivere con un nemico invisibile.
Siamo stati catapultati in una nuova realtà. Ci ritroviamo in un mondo nuovo, che ha poco, o forse nulla, a che fare con quello che ci siamo lasciati alle spalle. Siamo il frutto di una rivoluzione, interna ed esterna. Siamo il frutto di un cambiamento, perché è il mondo ad essere cambiato. L’ambiente in cui ci muoviamo ora non somiglia a quello in cui ci muovevamo con sicurezza e decisione qualche mese fa. Il cambiamento, però, non può e non deve riguardare solo ed esclusivamente ciò che ci circonda. Non basta che cambi l’involucro all’interno del quale ci spostiamo. Non basta che cambino gli spazi, se non siamo noi i primi a cambiare. Deve avvenire una rivoluzione nel mindset affinché l’uomo diventi protagonista attivo della storia e non soltanto della propria vita.
Come? La chiave è l’adattamento. Adattamento ad un “nuovo luogo” che è ancora sconosciuto. Questo, potrà non esserlo solo se faremo un buon uso di tutti gli strumenti a nostra disposizione. Solo così potremo rendere questo mondo il nostro mondo.
Oggi, più che mai, ognuno di noi è chiamato a scegliere, come se di colpo fossero crollate tutte quelle costrizioni che ci tenevano ancorati a luoghi e spazi. Il più grande rischio è che questa condizione sia solo temporanea e termini non appena la tempesta avrà fatto il suo corso. Tutto potrebbe tornare come prima, ma è davvero ciò che vogliamo?
In questo nuovo scenario, mentre molti si interrogano incapaci di agire, si apre innanzi a noi uno spiraglio di luce. Si tratta del “southworking”. Ma cos’è davvero?
L’intento dei fondatori del progetto è “Stimolare l’economia del Sud, aumentare la coesione territoriale tra le varie regioni d’Italia e d’Europa e creare un terreno fertile per le innovazioni e la crescita al Sud”.
Ma è davvero possibile? L’obiettivo apre nuove sfide, perché quello che sembrava essere un fenomeno momentaneo destinato a terminare con le riaperture, si sta prolungando e non sembra volersi fermare. I cervelli in fuga sono rientrati nei loro angoli protetti e possono rappresentare il motore per la ripartenza del Sud Italia.

Quindi, cosa è il South working? Il south working è fiducia e consapevolezza.
Ma qual è l’ingrediente per dare e avere fiducia? Il nostro tempo ci spinge a controllare piuttosto che a lasciar fare. Il focus deve essere orientato al raggiungimento di obiettivi, che assicurino il successo dell’azienda, annientando l’eccessivo bisogno di “controllo dei lavoratori”. È necessario, dunque, strutturare delle politiche aziendali che mirino, nel tempo, a realizzare questa nuova realtà, con l’obiettivo di remare tutti verso la stessa direzione.
In che modo riusciamo però a creare la fiducia? Forse una lezione questo virus ce l’ha data. Abbiamo imparato che possiamo stare bene ovunque, che sappiamo adattarci, coordinarci e fronteggiare le varie necessità, rispettando consegne e scadenze. Siamo in grado di affrontare sfide e inconvenienti anche attraverso uno schermo riuscendo a gestire una grande mole di lavoro anche a chilometri di distanza, portando con noi il carico ingombrante per poi restituirlo nel momento opportuno. Abbiamo imparato, forse, che non sempre ci si deve adattare al lavoro, perché a volte è il lavoro che si adatta a noi. Probabilmente per una volta potremmo smetterla di inseguire i nostri sogni e provare a trattenerli a quella frazione di terra in cui teniamo incastrate le nostre solide radici. È poi possibile ottenere fiducia senza dare fiducia? La risposta è no. Si pone, quindi, una sfida culturale. Diventa fondamentale accompagnare il cambiamento attraverso un sistema di valori condivisi: empatia, flessibilità, proattività, lavoro di squadra, attenzione ai colleghi, ascolto, rispetto, trasparenza, crescita, miglioramento continuo, responsabilità, sono solo alcuni degli ingredienti per iniziare.
Lo spopolamento delle aree del Sud Italia e dei borghi più in generale, è ormai da tempo una vera e propria emergenza. Senza un intervento immediato si andrà incontro ad un collasso totale di aree sconfinate. Solo recentemente abbiamo scoperto che anche coloro che stavano bene nelle metropoli adesso non vogliono più viverci, in fondo non era quella la vita che desideravano. Adesso possono avere tutto ciò di cui hanno bisogno, compreso quel magnifico lavoro per cui hanno lasciato tutto il resto. Forse, per la prima volta, non ci viene chiesto di scegliere. L’unica opzione è, o almeno dovrebbe essere, quella di scegliere dove e come essere felici.
Coniugare la vita professionale con quella personale sembrava impossibile, ma no, non lo è. Dobbiamo ripartire da NOI, definire nuove strategie in nuovi tempi e adattare il lavoro ai nostri spazi.
Ci viene chiesto di andare incontro ad una rivoluzione, all’innovazione, alla crescita: RIPARTIAMO DA QUI!