Le organizzazioni secondo Herbert Simon si compongono di due parti. Nella prima risiede tutto ciò che abbiamo affrontato nel passato (o altri hanno affrontato e ce lo hanno tramandato) e che possiamo programmare, ovvero anticipare e strutturare in modo da poter essere svolto nel modo migliore possibile, una parte ha sempre suscitato molto interesse perché al suo interno possiamo costruire le basi per essere più efficienti, ma anche più precisi in quello che facciamo. La seconda di cui Simon invece si occupa poco, è relativa a tutto ciò che si trova oltre la “frontiera”: il non programmato. La storia di un’organizzazione è un processo continuo di movimento lungo questa frontiera, una specie di fatica di Sisifo perché mano a mano che conosciamo e risolviamo alcuni aspetti, se ne presentano sempre di nuovi che vanno oltre la prospettiva del noto.

La circostanza del mondo contemporaneo è quella in cui il bilanciamento dell’attenzione tra le due dimensioni si sta spostando sempre di più su questo secondo aspetto, visto che le imprese competono sempre più sull’innovazione, sull’intuizione, sulla creatività. Questo non vuole dire che non si debba continuare a programmare, ma il valore di una risorsa per l’organizzazione sta cambiando il mix: i bravi programmatori servono, i grandi scopritori e sensemaker sono vitali. Non è quindi un caso se le figure manageriali a tutti i livelli sono chiamate a confrontarsi con questo processo. Di solito per loro è più facile programmare vista e considerata la loro impronta formativa a partire dalla scuola fino all’università, quindi lo sforzo che proponiamo attraverso il progetto “Mindset Revolution” è orientato all’aspetto della scoperta. L’elemento essenziale per vincere questa sfida è aver interiorizzato che abbiamo bisogno di apprendere, continuamente, ecco perché poniamo il focus sul long life learning. Dobbiamo farlo noi come manager, come è essenziale che lo facciano allo stesso modo i nostri collaboratori e la nostra organizzazione.

Apprendere infatti vuole dire muoversi sulla frontiera tra plasticità (capacità di adattare schemi e modelli) e stabilità (capacità di irrigidire i modelli), attività questa, nella quale il cervello umano è insuperato (e forse insuperabile) se consideriamo che la ricerca ha dimostrato come molti modelli computazionali con apprendimento (ad es. IA, machine learning ecc.) siano sensibili a processi di interferenza “catastrofica” in occasione dei quali o cancellano tutto l’apprendimento a fronte di nuovi input, oppure trascurano questi ultimi a favore dell’apprendimento precedente. La peculiarità dell’intelligenza umana, invece, sta nel saper gestire i paradossi tra stabilità e plasticità senza catastrofi, perché le vere catastrofi accadono quando l’umano smette di imparare…